Hikikomori è un termine giapponese, coniato dal medico psichiatra Tamaki Saito: significa “ stare in disparte, isolarsi”, dalle parole hiku “tirare” e komoru “ritirarsi”. Un Hikikomori è una persona che soffre, ma che si dimostra restio ad abbandonare la propria condizione ( solo una minoranza sembra predisposta a ricevere aiuto ).
Parte dall’osservazione che un numero crescente di giovani che abbandonano la scuola, interrompono le proprie relazioni sociali, e si rifugiano completamente in un locale, isolandosi dal restante mondo. Il fenomeno, nato in Giappone prima della diffusione del mondo digitale , in seguito si è diffuso in tutto il mondo.
Esiste una Associazione Hikikomori Italia genitori onlus.
Una statistica dell’associazione Hikikomori parla di 3 stadi:
1° stadio L’età media in cui si manifestano i primi evidenti segnali di Hikikomori è intorno ai 15 anni. La durata dell’isolamento è di oltre 3-4 anni con un’età media che si attesta sui 20 anni. E’ una problematica a forte rischio di cronicizzazione: in Giappone, dove il fenomeno è scoppiato prima, il numero degli isolati over 40 è alto: il periodo più critico è collocato nel post diploma, tra i 20 e i 29 anni, legato probabilmente alla competitività del sistema universitario, il cui fallimento del test di ammissione risulta spesso determinante per l’inizio dell’isolamento.
2° stadio quando la pulsione all’isolamento sociale interpretata razionalmente determina l’abbandono della scuola e l’allontanamento da quasi tutti i contatti sociali diretti, ad eccezione di quelli con i parenti più stretti
3° stadio isolamento totale: vengono evitati anche i genitori e relazioni virtuali.
In genere, si tratta di adolescenti e giovani adulti di sesso maschile che a poco a poco smettono di frequentare la scuola e interrompono ogni tipo di contatto sociale reale, per ritirarsi a casa nella propria stanza, in molti casi rimanendo collegati al mondo tramite la piazza virtuale, quella della rete ( internet, social, video giochi…).E’ un meccanismo di difesa messo in atto come reazione alle eccessive pressioni di realizzazione sociale tipiche delle società capitalistiche economicamente più sviluppate. La causa può essere rappresentata da una debolezza narcisistica del soggetto, il quale immerso nella società odierna dell’immagine e dei consumi si trova, sin dall’infanzia, in una situazione di stallo in cui non riesce a tollerare i sentimenti di paura, di vergogna, di fallimento che possono conseguire alle normali esperienze di vita proprie del periodo evolutivo.
Il giovane si trova ad affrontare richieste di performance scolastiche e sociali vissute come troppo elevate in un mondo dove la ricerca del successo, l’attrazione verso un’immagine sociale costantemente impeccabile e vincente, in continua metamorfosi secondo le mode, il numero di like è il mercato, la spinta alla soddisfazione dell’elevate aspettative dei genitori e degli altri attori sociali.
Questi ragazzi fanno esperienze di solitudine pazzesca e queste aumentano e accentuano il senso della vergogna: sono ragazzi che non usano la loro parte di aggressività sana ( sano egoismo ). che è quella che ci permette di essere nel mondo e di mostrare agli altri noi stessi: ne conseguono episodi di emarginazione e di bullismo.
Primo step per i genitori e per i professionisti è quello di avvicinarsi e accompagnare i nostri ragazzi all’interno della rete e del mondo virtuale. Dobbiamo chiederci: sappiamo cosa fanno i nostri ragazzi su internet? Conosciamo i loro linguaggi multimediali? In quali giochi si cimentano? Quale tipo di avatar si sono costruiti? Con quali super poteri? Per i ragazzi di oggi i cosiddetti nativi digitali, lo spazio virtuale la rete, costituisce un vero e proprio spazio di vita parallelo, alternativo ma anche complementare allo spazio reale. Un posto in cui fare esperienza, in cui vivere relazioni, in cui scoprire se stessi, la propria creatività, in cui sviluppare risorse e competenze trasversali. Uno spazio che non va demonizzato o inteso come alternativo a quello reale: impedire l’accesso significa togliere agli Hikikomori i contatti rimasti con il mondo e con la vita.
Non serve quindi forzare l’apertura della porta della stanza, ma a condividere la chiusura per uscire fuori insieme con delicatezza. Occorre la sensibilizzazione e la conoscenza del fenomeno e dei meccanismi socio culturali sottostanti da parte di professionisti, da parte dei ragazzi, delle famiglie, degli insegnanti. Occorre interrogarsi sul substrato culturale che da nutrimento al ritiro, per poter dare messaggi di orientamento corretti e per attivare strategie di prevenzione e di diagnosi precoce; c’è bisogno di punti di ascolto a cui i giovani si possono rivolgere anche al di fuori dei contesti più chiaramente sanitari ; occorrono infine professionisti formati, con una scatola degli attrezzi in “aggiornamento continuo” sui nuovi linguaggi digitali e sulle nuove patologie.
Una proposta di aiuto ? la Biorisonanza secondo i principi di Tesla.
Con l’utilizzo di onde elettromagnetiche a bassa frequenza, si possono riallineare le funzioni e le attività cerebellari tramite l’analisi dello stato di equilibrio e la funzionalità del microbioma che risiede nel nostro intestino.
Tale microbioma è formato da milioni di virus, batteri, funghi, muffe e tanti altri microorganismi e gestisce il nostro stato di salute insieme al nostro sistema immunitario.
Il microbiota intestinale, con le sue attività in parti specifiche dell’intestino stesso, sviluppa e genera tutta quella chimica necessaria alle normali funzioni cerebrali, cerebellari, ecc.
Occorre analizzare e mantenere efficiente questo apparato con conseguente buona attività emotiva e psicologica: il tutto dipende dal nostro microbiota.
Noi del centro Fisioterapico, con l’aiuto di prestigiosi laboratori e università italiane, saremo lieti di aiutare quanti vorranno richiederci informazioni ed aiuto, per uscire dal tunnel dell’isolamento e vivere una sana e spensierata vita sociale e di condivisione con il mondo che li circonda.